Ancora una volta Antonio Diana, attraverso i preziosi capitoli che seguono, rievoca con partecipazione emotiva, grande padronanza degli argomenti e competenza tecnica i microcosmi asinarese e stintinese, le storie, i documenti e il patrimonio di tradizioni che continuano a costituire per il “sindaco pescatore”, come mi piace chiamarlo, continua
fonte di ispirazione.
Dai capitoli del volume emergono intense narrazioni di spaccati di società e vita quotidiana, di curiosi aneddoti, di mestieri del mare e svaghi tradizionali, di percorsi e vie marine, di feste, religiosità e superstizione, di alimenti e archeologia, che risultano più vivide e immediate attraverso un ricco e prezioso apparato grafico e fotografico.
Dai racconti e dalle testimonianze affiora un mondo quasi del tutto dissolto, brani di vita marinara e popolare, mestieri scomparsi, pene e fatiche quotidiane.
Lo strettissimo rapporto fra la comunità, prima asinarese e poi stintinese, e il mare si evince sin dal primo capitolo del volume. La minuziosa descrizione della tradizionale pesca dell’aragosta e della lavorazione antica della bottarga, “il caviale del Mediterraneo”, ci consegna l’immagine di una comunità di pescatori per la quale la pesca rappresentava molto più di un mestiere. Era per molti una tradizione familiare, che si trasmetteva attraverso un apprendistato severo e precoce imposto da esigenze economiche. Fin dall’antichità, infatti, la pesca si è consolidata nelle comunità costiere, divenendo non solo il vettore dello sviluppo economico dei paesi rivieraschi, ma anche permeando il tessuto sociale di tradizioni e abitudini peculiari. La piccola pesca artigianale si fonda, di fatto, su un rapporto particolare fra il pescatore e il mare, conseguenza di tradizioni tramandatesi nel corso dei secoli, permeato di profonda conoscenza e rispetto. All’attività svolta in mare si legavano altri mestieri che si svolgevano a terra durante i periodi nei quali non si poteva pescare e i pescatori sfruttavano le risorse ittiche con la stessa cura e avvedutezza utilizzata dal contadino nel suo fondo.
Nei racconti dei pescatori il mare è anche il luogo delle tempeste e dei naufragi e l’episodio della tromba marina, tratto dal libro di Peppino Bosco, “A sud di Punta Negra”, pur con imprecisioni e inesattezze, tratteggia con par tecipazione emotiva lo stato d’animo della comunità di pescatori travolta da un tragico evento, ma fiera e coraggiosa nel trovare unita e solidale la forza per reagire e guardare al futuro con speranza e fiducia.
Esmeralda Ughi
La ricostruzione della storia delle torri costiere situate lungo la costa e in siti d’importanza strategica ci offre intatto il fascino di queste strutture e le variazioni del paesaggio costiero che le accoglie, un paesaggio naturale e straordinariamente eterogeneo. La descrizione non solo fornisce le notizie relative a questi meravigliosi monumenti, ma delinea anche un itinerario completo per scoprirli e ammirarli dal vivo. Dalla narrazione emerge chiara la forte consapevolezza di questo patrimonio, talvolta e ingiustamente definito “minore”, che finora è stato oggetto di sporadiche attenzioni e la conseguente esigenza della valorizzazione di questa straordinaria ricchezza architettonica e di quella culturale e naturale del territorio in cui le torri costiere sono collocate.
Attraverso il Portolano che dall’isolotto della torre de La Pelosa arriva fino a “li Ishiuietti”, l’autore ci accompagna in un viaggio virtuale lungo questo tratto di costa che documenta l’importanza per i pescatori di conoscere in modo esatto le vie marine da percorrere; le bellissime immagini che accompagnano il capitolo mettono ulteriormente in luce l’importanza di questi luoghi per l’attività di pesca. Il racconto degli avvenimenti che portarono alla realizzazione di edifici ecclesiastici, ci trasporta sull’Isola dell’Asinara, antica patria degli Stintinesi. Interessanti le descrizioni dello stato in cui, a parere degli ecclesiastici che la visitavano periodicamente, versavano gli abitanti dell’isola e dell’attività del primo parroco stabile, Don Marginesu, che riuscì dopo alcune difficoltà, a far costruire una nuova chiesa parrocchiale intitolata alla Madonna delle Grazie. In appendice l’autore pubblica gli interessanti documenti originali relativi all’argomento.
Appassionante la rievocazione del Palio Remiero che si svolgeva dopo la processione in onore della Beata Vergine Madonna della Difesa e che coinvolgeva tutta la comunità, con la partecipazione dei giovani del paese. Era un momento in cui si faceva rivivere in modo simbolico attraverso la passione sportiva, l’importanza dell’uso della barca a remi per l’attività marinara del paese. Storia, tradizione, sport, senso di appartenenza alla comunità si intrecciavano strettamente in questa esaltante gara.
Una piccola storia di sapore leggendario chiude il volume, un racconto che ci riporta ancora all’Asinara, alle origini della comunità stintinese, che affonda le sue radici nell’isola madre sempre rimpianta e amata: quell’Asinara che si staglia davanti a Stintino, simbolica custode del tempo passato e fragile e vulnerabile messaggera di un futuro comune.
Dunque ancora la memoria protagonista indiscussa di questo lavoro. Memoria, che è divenuta quasi una esigenza sociale, forse perché la diffusa sensazione di perdita dell’identità nella “liquidità” della vita contemporanea spinge le comunità ad aggrapparsi al proprio passato e a ricostruirlo per combattere contro il lento scivolamento nell’oblio.
Dinanzi alla globalizzazione dei mercati, delle tecnologie e dei linguaggi, la memoria del passato e del vissuto collettivo, divengono dunque un bisogno culturale, quello di dare continuità e legittimità all’identità generazionale e territoriale. Ma la storia e la cultura locale non sono viste in questo contesto come semplice soddisfazione di curiosità “localistica”, ma esse si inseriscono nell’ambito più vasto, come tessere di un mosaico, della storia nazionale e universale. L’identità nazionale è infatti formata dalle multiformi identità locali che si riconoscono in essa e che attraverso essa generano altri legami di appartenenza, attraverso la condivisione di storie, luoghi e tradizioni.
La fatica e i disagi con cui si stanno vivendo oggi le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia nascono anche dalle numerose rotture di questa storia comune e condivisa. Paradossalmente oggi l’Italia vive un problema di identità nazionale, dovuto proprio alla perdita della memoria e dei legami di appartenenza a una comunità, perdita di quei cardini esistenziali che consentono la condivisione di una storia comune.
Questo volume viene pubblicato proprio in concomitanza con le celebrazioni del 150º anniversario dell’Unità d’Italia e mi piace pensarlo come una piccola tessera di quel mosaico che è l’identità della nazione italiana.
Esmeralda Ughi